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La luce del giorno: IL MAESTRO GIARDINIERE

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La luce del giorno: Il maestro giardiniere   “Il  soggetto di un film è solo un pretesto: è la forma, molto più che il contenuto, a colpire lo spettatore e farlo elevare”  ROBERT BRESSON  Esistono film che per qualche ragione squadernano l’obiettivo di partenza ancor prima del loro sviluppo. E tuttavia, fingendo di non sapere nulla circa la loro confezione, pochi semplici istanti ne rivelano la via d’accesso. Ne testimoniano persino la riflessione teorica. Nessuno mai penserebbe che pianticelle fiorite su fondo nero – nell’atto di sbocciare rigogliose, durante i titoli in apertura de  Il maestro giardiniere  – rechino la firma di Paul Schrader, regista-sceneggiatore di navigato mestiere, un tempo sensibile a temi di tipologia differente, rigorosi quanto reazionari. Salvo, un attimo dopo, rammentare come l’occhio estetico del cineasta di Grand Rapids restituisca una saggezza e una morbidezza acquisite lungo un itinerario spirituale, in cui i calendari a disposizione incappano in un rip

Oltre ogni ragionevole dubbio: la parola a Friedkin

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Oltre ogni ragionevole dubbio: la parola a Friedkin   Nel posto sbagliato, al momento sbagliato. Mitica ormai, a un anno di distanza dalla scomparsa di William Friedkin, la famosa battuta di  Vivere e morire a Los Angeles  non solo costituisce un azzeccato epitaffio: suona quale sarcastica tromba del giudizio, in linea con la dottrina del regista-sceneggiatore nei confronti d’un emisfero umano inguaribilmente contraddittorio, solcato da una scia d’ambiguità sino all’ultimo decisa a rimanere tale. La sospensione si fa punto nevralgico, lungo una produzione prolifica eppure discontinua (e non sempre meritoriamente ripagata), quand’anche un epilogo sembrerebbe decidere il destino dei personaggi: è sufficiente uno spostamento di macchina verso un esterno piovoso, con un sinistro  pick-up  a sopraggiungere senza preavviso; o la dissolvenza incrociata su un torbido sguardo allo specchio con la baia newyorchese all’alba, accogliendo un transatlantico come nell’incipit, a chiudere il cerch

Questione di sguardi

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Questione di sguardi  L’occhio moltiplicatore del cinema , dichiara il titolo. Più semplicemente, come da nomenclatura cinefila, politique des auteurs . Non sarebbe corretto, tuttavia, ridurre il volume di Danilo Amione, edito da Mimesis, ad ulteriore catalogo di sguardi sul mondo, prospettive, visioni registiche tese a identificare lo stile d’un cineasta o il fil rouge che ne attraversa l’eventuale filmografia. Chiamato a scriverne la prefazione, lo storico Dario Tomasi ne individua il segno. E il testo, da par suo un manuale analitico, si propone quale sguardo a 360° a più voci, sezioni o direzioni: dagli immancabili primordi transitando per gli sperimentalismi in embrione, sino alle evoluzioni tecnico-teoriche del mezzo filmico, alla concezione di obiettivo in quanto famigerato strumento di propaganda, e ineludibile demiurgico restitutore di tragiche verità. È facile intuire che l’effettivo elemento con cui, eponimo, s’identifica una data filmografia (l’umana tragicommedia secondo

Rovineremo la festa: THE PALACE

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Rovineremo la festa: The Palace “La fine del mondo non sta per arrivare”, sono le parole con cui lo scettico direttore del prestigioso albergo svizzero indicato dal titolo ne catechizza il personale, in apertura del ventitreesimo lungometraggio di finzione firmato Roman Polański. Tralasciando l’autobiografismo dell’operazione (a Gstaad, dov’era un habitué , il cineasta trascorse il 31 dicembre ’99), lungo i suoi cento minuti di edulcorati eccessi, il film è pervaso da una sensazione di morte che si fa via via stridente. Non è la prima volta che il cinema impiega una nottata di euforici bagordi quale allegoria del trapasso: se a respirarsi è un’aria triviale, ciò è facilmente esplicabile con l’assunto critico-sociale cui si volge. Neppure è da ritenere che The Palace , smentendo la maggior parte di recensioni e detrazioni, si rifaccia all’estetica vanziniana che, nei decenni, ha fatto dei cosiddetti “cine-panettoni” un’appagata formula oltreché un ineludibile refrain ; si dubita ch