A YELLOW BIRD
A Yellow Bird
Presentato a Cannes nella sezione “Settimana Internazionale della Critica” nel 2016, A Yellow Bird è un dramma sociale incentrato su un indostano – caso raro – a Singapore,
dove gli indiani sono il 7,9% della popolazione, contro il 13,9% dei
malesi e il 76,8% di cinesi. Siva, impersonato dal noto volto
televisivo Sivakumar Palakrishnan, trentotto anni, viene rilasciato
dopo averne scontati otto in carcere per contrabbando. L’uomo deve
fare i conti col passato, la famiglia e il suo status di minoranza,
mentre la madre (Seema Biswas, star di Bollywood) si rifiuta di
ospitarlo, avendone già affittato la stanza a un paio di cinesi
zotici. Siva cerca di persuadere l’amministrazione penale ad
aiutarlo nella ricerca della moglie, nel frattempo risposatasi, e
della figlia, senza ricevere aiuti. Un vecchio amico, per ricondurlo
all’attività criminosa, afferma di non sapere dove sia la sua
famiglia. La polizia, invece, lo costringe ad incontrarsi con
un’assistente sociale che s’invaghisce di lui. La ricerca del
protagonista, fuori e dentro di sé, è innesco per descrivere le
vite di persone, molte delle quali donne, sole e relegate ai margini
della società, e gli incontri di Siva con loro (ma solo uno, quello
con il personaggio interpretato da Indra Chandran, diventa qualcosa
di struggente). Nel vagare per le strade come un vagabondo, l’uomo
salva da un bruto una prostituta cinese, Chen Chen (Huang Lu). La
clandestina, costretta a pagare i debiti della propria famiglia, lo
vede come uno spirito affine in un mondo senza sbocchi e gli offre la
possibilità di ricostruire la sua identità di essere umano,
trovando conforto e speranza. Purtroppo la giovane è rispedita in
Cina in seguito a una retata, e il mondo di Siva sembra crollare
definitivamente nello scoprire che l’amico lo ha tradito, tenendone
la famiglia in un appartamento impiegato per il contrabbando. Nel
tentativo di salvare moglie e figlia, l’uomo realizza che le
proprie azioni passate hanno portato a conseguenze irreversibili, e
si decide a venire a patti con la virtù e con la perdita. Il che,
forse, lo aiuterà a salvare la figlia malata e anche sé stesso...
Con
A
Yellow Bird,
suo esordio nel lungometraggio, il regista K. Rajagopal non fa
dell’indigenza l’inevitabile nota di folklore delle storie
indiane: “Volevo dar voce alla minoranza indostana e il mio
protagonista doveva essere indostano”, afferma, “ero determinato
a raccontare il lato multietnico, la città-stato e le minoranze,
temi sovente non dibattuti”. Così come la convivenza e il razzismo
di cui i protagonisti sono vittime, Chen è costantemente etichettata
come slut
e
l’etnia di Siva passa da epiteti aggressivi, come “fantasma
nero”, a relativamente miti, come “indiano”. Il film ruota
anche sull’estrema povertà che circonda i personaggi. “L’idea
del protagonista senza fissa dimora
– continua
l’autore – mi è venuta da una famiglia malese, con due bambini e
un terzo in arrivo, che viveva sotto il loggiato del mio condominio e
dormiva sui cartoni... Non credereste alle condizioni di vita viste a
Little India”. Il protagonista lavora nei cortei funebri, impiego
mal retribuito che esaspera la sua situazione. E anche quando Chen lo
invita ad essere la propria bodyguard,
il nuovo lavoro non è meno deprimente dell’altro: il pappone in un
bordello nel bosco, nelle cui tende presentare il tariffario delle
prestazioni sessuali e ritirare il denaro. I personaggi volutamente
abrasivi e la narrazione ritmata sanno di autenticità. Siva è un
individuo privo di fascino, sudato e cupo, il cui temperamento
iracondo è sempre sul punto di scoppiare. Apparentemente ha solo due
atteggiamenti, esplodere al culmine della rabbia o soffrire in
silenzio, e il fatto che non sia loquace non aiuta lo spettatore a
carpire gran parte delle sue emozioni. In obbedienza a tale scelta di
realismo, Rajagopal e il direttore della fotografia Michael Zaw
optano per atmosfere cupe e ambienti poco illuminati, tesi a
suggerire che la vita fuori dal carcere non è migliore o più
cristallina di quanto non sia dentro. Quest’allegoria visiva è
rafforzata inquadrando spesso Siva dietro sbarre o griglie, come
fosse perennemente imprigionato. Il volatile giallo del titolo fa la
sua apparizione nel prefinale: ma ciò che si suppone simboleggi, e
il modo in cui si rapporta al protagonista, appare un funesto
presagio. “Il titolo viene dalla mia infanzia”, conclude il
regista, “mia madre diceva: ‘Se vedi un uccello giallo, esprimi
un desiderio. Potrai incontrare qualcuno di piacevole o ricevere una
buona notizia’. Guardavo fuori per vedere un uccellino giallo, e
questa speranza mi ha accompagnato per tutta l’infanzia”.
Francesco
Saverio Marzaduri
Commenti
Posta un commento