C’era un padre: SAVING MR. BANKS

C’era un padre: Saving Mr. Banks 


Chi scrive, a un lustro dall’uscita in sala di Saving Mr. Banks, concepita per celebrare il cinquantenario di Mary Poppins, ribadisce che si aspettava di più dopo aver assistito al recentissimo e non meno altalenante reboot targato Rob Marshall. Nel film di John Lee Hancock, alla quarta prova da regista e in passato sceneggiatore eccellente per Clint Eastwood, a non convincere non è tanto la continua miscela di passato e presente di cui è permeato il tessuto narrativo: in un paio doccasioni, anzi, se la mente dello spettatore torna al proprio fanciullesco trascorso, l’operazione riserva qualche magico brio. Quel che manca, affinché la storia della nascita di Mary Poppins conquisti appieno, o aggiunga quel tanto che soddisfi, è la soavità del tocco favolistico, anche – e soprattutto – per quanto concerne la psicologia del personaggio principale: nella prima mezzora suona abbastanza immotivata la tempra glaciale, priva di qualsiasi umano trasporto, della scrittrice Pamela Lyndon Travers (Emma Thompson), costretta a cedere i diritti del romanzo di cui è autrice non disponendo più di liquidi. Algida e battagliera, come di recente solo la “Lady di Ferro” Thatcher incarnata da Meryl Streep, Pamela non tollera il battage dell’industria disneyana e arriva a gettare le pere del cesto-omaggio a lei riservato nella piscina dell’albergo, opponendosi a qualunque idea che tradisca loriginario spirito dell’opera nella sua trasposizione. Non fosse che dietro una rude scorza in stile Signorina Rottenmeier, si agitano ricordi difficili. E, a tal proposito, almeno una scena degna di nota che consente di rimettere le carte in tavola e rivelare di non assistere solo a un cinefilo backstage (suggellato da un’ulteriore chicca negli ending credits). L’episodio abbandona lo spunto iniziale della ricostruzione filmica offrendosi come background psicologico, psicodramma e reminiscenza: mentre i Fratelli Sherman (Jason Schwartzman e B. J. Novak), in compagnia di Don DaGradi (Bradley Whitford), intonano al pianoforte Fidelity Fiduciary Bank, una Pamela poco interessata al brano e assorta nei pensieri rammenta, all’improvviso, l’arringa che il padre (Colin Farrell), dirigente bancario in odor di licenziamento, fece ubriaco fradicio davanti a una folla di persone e all’attonita moglie (Ruth Wilson) durante un comizio di paese. Le parole usate dall’amato genitore – sottolinea un incalzante montaggio alternato – si ritrovano speculari sulla bocca dei tre canterini, autori d’un ironico brano scritto all’uopo per scuotere l’insofferente tempra della donna. La quale, rimirando con persistente dubbiosità lo storyboard sull’eventuale Banks del progetto, si oppone risoluta alla cinica modalità in cui il personaggio – ossia il babbo – viene strumentalizzato, consegnando di sé un’immagine, sin lì inedita, di persona vulnerabile. “È solo una sequenza”, per dirla col bonario Walt Disney impersonato da Tom Hanks. Ma in questa sequenza emerge quel senso del ritmo che Saving Mr. Banks via via disperde contentandosi della propria diligente confezione a rischio del minimo tradimento dei fatti. Trattandosi d’una produzione Disney, che sembra preoccuparsi di eventuali critiche al mito omaggiato, c’è tutto il calderone-feticcio della fabula e del sogno: qualcosa cui nemmeno Pamela riesce a resistere, addormentandosi con accanto il peluche di Mickey Mouse e perfino rilasciandosi alle magiche note di Let’s Go Fly a Kite. Ma l’esito sa di lezione troppo fredda, e calcolata senza autentico trasporto, per entusiasmare. Così pure la confessione di “zio” Walt alla scrittrice nel raccontarle del proprio genitore, snocciolando un aspetto antitetico e complementare a quello della protagonista, appare un segmento contestualmente appropriato quanto prevedibile. Tutto passa, come le nubi nell’incipit dell’alleniano Blue Jasmine, dello stesso anno, che aprono e siglano Saving Mr. Banks, eppure senza lasciare l’indelebile ricordo della piuma che una ventina d’anni prima introduceva e congedava Forrest Gump. E in tema di padri, e della loro memoria di fanciulli mai davvero cresciuti, la mente torna all’epilogo de Le avventure di Peter Pan e all’ombra del vascello-pirata nel cielo che il Signor Darling, rimirandolo commosso insieme alla famiglia, riconosceva mentre si eclissava tra le nuvole. Ecco la riviviscenza: ma il vento dell’Est – sublimato anche da Godard in qualche epoca lontana – ineluttabilmente è cambiato. E Mary Poppins ha ripreso il volo da tempo... 

Francesco Saverio Marzaduri 

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