L’entità demiurga. Angeli in celluloide – Parte II
L’entità demiurga
Angeli in celluloide – Parte II
Esaminate le categorie attraverso le quali lo spirito celeste è stato
rappresentato di volta in volta sullo schermo nella forma più
classica, figura un sottofilone a parte in cui l’angelo, non
essendo quasi mai un’entità spirituale dichiarata, presenta
connotazioni, gesti, ragionamenti che non poco ricordano
l’iconografia angiolesca; tale sottofilone concerne l’angelo
quale allegoria, o meglio presenza demiurgica. Come accennato, il
ribaltamento della formula angelo-umano può avere luogo a seconda
del contesto narrativo in cui lo spirito celeste si trasforma in
mortale, quando non scaturisce dalla figura umana, ed è possibile
che il rovesciamento si verifichi anche per il sottofilone in
questione. In una prima categoria figurano presenze teoricamente in
carne e ossa, che in realtà sono spiriti invisibili al prossimo
nella vicenda narrata, fuorché all’osservatore. Personaggi
siffatti prendono coscienza della loro entità metafisica poco a
poco, e non potendo più contare sul corpo, tentano di avere un
completo controllo sul proprio spirito, unica risorsa per compiere
una “missione” celeste.
Per
esempio, la prima parte di Ghost – Fantasma
di Jerry Zucker vede il bancario Patrick Swayze, rimasto ucciso in
una rapina, nei suoi fallimentari tentativi di comunicare con
l’ambiente circostante – in particolare con la fidanzata Demi
Moore – essendo convinto di vivere ancora. Soltanto due incontri lo
indirizzano sulla pista giusta, permettendogli di capire se la sua
morte sia stata accidentale o voluta: l’uomo impara a spostare gli
oggetti col pensiero grazie all’aiuto di un ambiguo spettro che gli
fa capire la nuova situazione, trovando in seguito anche il modo di
“comunicare” con la compagna attraverso la medium
Whoopi Goldberg. Numerosi nel film sono i richiami all’Aldilà: si
pensi all’epilogo in cui il Nostro, ammantato da una luce siderale
sfolgorante, saluta l’amata per l’ultima volta, ma anche la
presenza della statua di un angelo, che il protagonista si trova di
fronte in una scena onirica. A rendere il personaggio simile a uno
spirito celeste è la sua stessa entità soprannaturale, ribadita
dalla demiurgica “missione” di proteggere la compagna da un
imminente pericolo. Commedia fantasy a
metà strada fra il melodramma e l’horror
soprannaturale, che mescola la dimensione
fantastica con quella romantica, Ghost sembra
inoltre echeggiare negli spunti opere quali Joe
il pilota o Always –
Per sempre (quest’ultima solo di un anno
precedente).
Curioso
che il film di Zucker somigli molto a Asso di
Castellano e Pipolo, nel quale i topoi
della più classica commedia angelica si riducono a un pretesto
adattato al nonsense lunare
di Adriano Celentano. Ottenuto dal Creatore il permesso di tornare
sulla Terra, una volta rimasto ucciso, un giocatore d’azzardo
(l’Asso del titolo, di nome e di fatto) è invisibile a tutti
fuorché all’amata sposa Edwige Fenech: la funzione di questo
demiurgico angelo risiede nel trovare alla vedova un degno consorte,
nel contempo contrastando i nemici. Anche in Asso
non mancano i riferimenti – anzi, le stoccate – al Paradiso e al
Padreterno: nel finale, tornato in un Aldilà da operetta simile a
quello di Due come noi,
il protagonista si ritrova a giocare a carte con Dio (indovinate chi
è). Ma la mano gli è fatale: Asso ha full di
beati, l’Onnipotente poker di santi... Di ben altra pasta è
l’angelo di Starman
di John Carpenter, un alieno dalle connotazioni
messianico-spielbergiane che, sceso sulla Terra, acquista le
sembianze di un uomo deceduto (Jeff Bridges) e convince la giovane
vedova (Karen Allen) di quello ad aiutarlo. La missione dell’inviato
celeste è duplice: raggiungere il luogo d’appuntamento con
l’astronave che tornerà a riprenderlo e, in cambio, aiutare la
donna a concepire un figlio prodigio; quest’ultima funzione, in
particolare, ostenta un chiaro aspetto evangelico-mistico.
Imbarazzo
in Paradiso in Nei panni di una bionda,
giacché un impenitente donnaiolo, in lista d’attesa nell’Aldilà
dopo essere stato ucciso da tre amanti focose, deve tornare sulla
Terra per trovare qualcuno che lo ami veramente. Una volta che il
Diavolo si mette in mezzo, come da copione, il playboy
si reincarna nel corpo della bionda Ellen Barkin, conservando la
stessa mentalità maschilista di prima. Come accennato in precedenza,
più d’ogni altro genere la commedia ha spolverato la figura
angelica nei suoi aspetti multiformi, incluso quello della presenza
demiurgica: nel film di Blake Edwards, al tema angelico-mistico si
affianca il motivo dell’ambiguità sessuale caro al regista di
Victor Victoria.
Mantenuto in chiave satirica, il contrasto è giocato su un doppio
interrogativo: continuare ad amare l’altro sesso o rispettare la
nuova natura fino in fondo? Per ottenere l’accesso in Paradiso,
Amanda realizza che per conoscere l’amore sotto altri aspetti,
occorre ripartire dal principio: una volta portata a termine, la sua
“missione” celeste le consente un posto dignitoso – anche se
non più atteso – nell’Alto dei Cieli, portandosi però dietro
l’ambiguità, non sapendo la donna decidersi se essere un angelo
maschile o femminile.
Una
bella variante di spirito angelico è l’Assurdina Caì-Silvana
Mangano de La Terra vista dalla Luna,
surreale episodio diretto da Pasolini per il film Le
streghe. A metà fra Mary Poppins e la
Gelsomina de La strada,
Assurdina è una candida creatura dai capelli verdi, muta presenza
priva d’una funzione definita, salvo quella di allietare
l’esistenza dei due vagabondi Totò e Ninetto Davoli. Proprio come
Mary Poppins, la misteriosa dea riassetta una baracca piena di
cianfrusaglie trasformandola in una capannina colma di graziosa e
ordinata armonia domestica. Fedele ai compagni, per consentire loro
di ottenere soldi, Assurdina inscena un tentativo di suicidio che si
conclude tragicamente: senonché la donna riappare come un’immacolata
Madonna. L’incipit,
in cui la Nostra è inginocchiata di fronte all’altarino votivo di
un santo, suggerisce l’effigie mistica del personaggio ribadita
dall’epilogo, quando i protagonisti identificano la dea con la
felicità. Autore non esente da tematiche religiose né da riletture
allegoriche di esse, Pasolini ce ne fornisce un quadro controcorrente
in Teorema.1
Qui, fa capolino una stravagante apparizione (non a caso ribattezzata
Angelo) che ha il volto e le movenze buffonesche di Ninetto Davoli:
vestito di bianco, il personaggio è illustrato nella mansione che
più gli è congeniale, quella di messo, e in due scene del film il
postino Angelo recapita due telegrammi, nei quali rispettivamente si
annuncia la visita di un Ospite inatteso e la sua partenza
improvvisa. L’Ospite in questione, ossia Terence Stamp, è la
versione più trasgressiva di spirito celeste demiurgico: un ambiguo
studente che ha rapporti erotici con tutti i componenti della
famiglia benestante in cui s’insinua. La sua presenza finisce per
scombussolarne il normale assetto borghese, messo definitivamente a
soqquadro all’uscita di scena del giovane.
Nei
finali di molte pellicole, la dipartita dell’angelo demiurgo ha
luogo una volta compiuta la missione, i cui apporti – come nel caso
di Teorema
– finiscono per lasciare il segno, volenti o nolenti. Talvolta la
presenza demiurgica resta vincolata a un ambiente, vuoi per scelta
vuoi per avversità, ma nella maggior parte dei casi la sua
“missione” di rinnovo nell’ambito si conclude col suo
allontanamento. Se Assurdina Caì trova un antenato nella Mary
Poppins di
Robert Stevenson, per identificarla quale spirito celeste, è
sufficiente ricordare che la governante tuttofare più amata dai
bambini scende dal cielo: aggrappata al proprio ombrello, Mary
Poppins – ovvero Julie Andrews – porta una ventata di novità
all’interno di un’austera famiglia inglese di fine Ottocento. La
missione della tata consiste soprattutto nel riavvicinamento dei
figli ai genitori, e tale missione coincide con la sua lontananza,
intuibile fin dalle parole che esprime (“Resterò
finché non cambia
il vento”).
Svolta la
funzione, ipse
dixit, la donna
toglie il disturbo non senza aver lasciato una traccia profonda.
Un
angelo che non scende dal cielo ed è terrestre, ma la cui vitalità
sembra appartenere a un mondo altro, è Maude (Ruth Gordon) in Harold
e Maude di Hal Ashby. La saggezza di
quest’arzilla vecchietta, consumata dalla vita ma ancora vogliosa
di trasmettere allegria, conquista in tutto e per tutto il timido e
complessato Harold (Bud Cort). L’insegnamento più prezioso che il
giovane riceve da Maude è di vivere l’esistenza per come viene,
accettandone le avversità e fronteggiandole sempre col sorriso: alla
morte dell’amica, Harold dimostra d’imparare la lezione suonando
il banjo, libero di vivere una nuova vita, e soprattutto capace di
farlo. Anche in questa circostanza, un angelo-presenza demiurgica
appare dal nulla per poi scomparire, ricoprendo un atto simbolico;
tuttavia, “la delicatezza di Ashby nasconde una sottile ambiguità
che, contro ogni evidenza, potrebbe far pensare che Maude non sia
davvero morta. Potrebbe trattarsi di un finto suicidio, come quelli
inscenati da Harold per tutto il film”.2
Non per nulla, la morte di Maude non è mostrata, quanto a dire che
all’angelo è consentito uscire di scena, ma non morire: che angelo
sarebbe, altrimenti?
Discorso
a parte va fatto per Qualcuno volò sul nido
del cuculo di Miloš Forman: ivi, lo “spirito
celeste” Jack Nicholson è un pregiudicato che si finge pazzo,
trasferito in un manicomio dell’Oregon. Benché si tratti d’una
presenza demiurgica particolare, la funzione “angelica” di questo
personaggio risiede nei suoi gesti ribelli e anticonformisti, che
portano una ventata di novità nell’istituto e finiscono per
trascinare i pazienti. La “missione celeste” del protagonista –
il cui atteggiamento finisce, inevitabile, per scontrarsi con il
consiglio medico, e in particolare con la dittatura della
capo-infermiera – consiste nello smascheramento del carattere
repressivo e carcerario dell’istituzione; l’affronto compiuto
dall’uomo è pagato a caro prezzo in quanto, una volta
lobotomizzato, è soffocato da un paziente, un gigantesco indiano
pellerossa. In apparenza, sembra che l’angelo muoia per la prima
volta, ma il discorso concerne la presenza angelica quale allegoria:
interpretando il finale secondo una lettura simbolica, quello che di
fatto “muore” è il corpo del protagonista, non la sua anima.
L’attimo
fuggente di Peter Weir reca ben più
di un’analogia con Qualcuno volò sul nido
del cuculo: più o meno inalterata è la
funzione del professor Robin Williams, l’angelo protagonista, i cui
insegnamenti anticonformisti sulla poesia e sul libero pensiero sono
portatori d’una serie di novità che si scontrano con l’ordine
autoritario dei professori. Come sempre, i nodi vengono al pettine
nell’epilogo: se il docente non viene “ucciso” ma è espulso
dal college, il suo allontanamento non ha luogo per scelta, quanto
per avversità esterna. Ma la presenza di questo angelo lascia un
segno indelebile: gli studenti lo salutano nel modo – irrituale –
che questi ha loro insegnato, dimostrando la loro solidarietà in un
estremo gesto di sfida e rivolta. Due varianti del film di Weir,
nelle quali a mutare non è la mansione dell’angelo demiurgo ma la
scelta di campo adottata, forniscono Goodbye
Mr. Holland di Stephen Herek, in cui è di
turno un altro insegnante che ha il volto e la simpatia di Richard
Dreyfuss, e Patch Adams di
Tom Shadyac, interpretato ancora da Robin Williams.3
In particolare, questo film è la storia vera del dottor Hunter
“Patch” Adams, che la vocazione del clown trasforma in un
convinto assertore e pioniere della risata quale terapia alternativa
e fondatore del Gesundheit! Institute Home, dove la pratica;
basterebbe questo a fare del personaggio una figura angelica, e a
ribadirlo è la scena che vede “Patch” Adams abbigliato da angelo
con tanto di ali, nell’atto di condurre un paziente in sala
operatoria.
Entità
celeste suo malgrado, per alcuni aspetti somigliante al succitato
personaggio del pasoliniano Teorema,
ricopre lo Sting de Le due facce del male di
Richard Loncraine: un vagabondo senza passato che, insinuatosi nella
vita e nelle turbolente vicissitudini d’una coppia inglese di mezza
età, racconta di essere l’ex fidanzato della loro figlia in coma.
In realtà, il giovane ha un atteggiamento morboso con la ragazza, di
cui abusa sessualmente, ma quando è costretto a scappare perché
sorpreso dal padrone di casa mentre ne violenta la figlia,
quest’ultima si risveglia dal coma. Fermo restando su un versante
paradossale, benché decisamente sgradevole, un personaggio
inquietante e malefico si trasforma in un involontario detentore di
beneficio, e per quanto spigoloso, il film affronta in maniera
curiosa la duplice relatività del bene e del male (dal male può
scaturire casualmente il bene, che più spesso si ferma a uno sterile
assistenzialismo).
Non
sempre l’entità angelica ricopre la mansione d’inviato celeste.
Sebbene le connotazioni rimangano quelle di docile creatura femminile
vestita di bianco, la simbologia non concerne tanto la purezza quanto
la dannazione, e talvolta la morte; nella maggior parte dei casi, si
tratta di mera visione onirica. In All That
Jazz – Lo spettacolo comincia di Bob Fosse,
lo spirito femmineo Jessica Lange, ribattezzato Angelique, è il
sogno del regista-coreografo Roy Scheider; l’angelo gli si presenta
in camerino, in abito da sposa rigorosamente bianco, e l’uomo gli
confida sorridendo i propri rimorsi e le proprie ambizioni. Rimanendo
nella metafora, senza però ricorrere a elementi che ne ostentino la
spiritualità, un altro angelo-fanciulla è la visione del poeta Ben
Gazzara nella scena conclusiva di Storie di
ordinaria follia di Marco Ferreri. Nulla fa
pensare che la ragazza in cui l’uomo s’imbatte per caso sia un
angelo, eppure possiede il candore di un puro spirito: mentre lei gli
si denuda di fronte, in cambio, il poeta le recita i propri versi
strazianti su una spiaggia desolata e metafisica. Agli occhi
dell’uomo, forse quest’angelo simboleggia l’estrema grazia in
un mondo sordido, intriso di bevute e puttane, di cui lo scrittore è
figlio non pentito: nell’atto di toccare la giovane, conscio dei
propri peccati di uomo vissuto, il poeta esprime vergogna.
Una
presunta perla nel lerciume della metropoli si evince in Taxi
Driver di Scorsese. Lo sguardo del taxista
Robert De Niro è trafitto dall’immagine della bellissima Cybill
Shepherd, la cui grazia e il cui fascino – a detta del protagonista
– la fanno apparire un angelo nella giungla urbana; in effetti,
nella prima scena in cui fa capolino, la giovane si presenta in abito
bianco e la sua apparizione è accostabile a una Beatrice di dantesca
reminiscenza. Ma la visione della ragazza dipinta come un angelo dal
taxista è determinata soltanto dall’illusorio quanto balordo punto
di vista di quest’ultimo. In Forrest Gump di
Robert Zemeckis, fin dall’infanzia l’ingenuo Tom Hanks immagina
la donna della sua vita, Robin Wright, come un angelo custode: ma già
il personaggio di Forrest, candido scemo, serba di per sé
connotazioni angeliche in quanto la sua presenza reca, all’interno
di ogni contesto in cui si trova ad operare, rivoluzionarie novità.
Così pure nella commedia musicale Pennies
From Heaven – Spiccioli dal cielo di
Herbert Ross, la grigia esistenza del fallito agente musicale Steve
Martin carpisce una svolta nell’incontro con la pimpante Bernadette
Peters, nella quale l’uomo intravede uno spirito celeste e da cui
si lascia coinvolgere in movimentate avventure, ritrovando la
serenità da tempo smarrita. Ancora, nella rilettura western firmata
John Huston L’uomo dai sette capestri,
prima di auto-nominarsi giudice di un desertico paese a ovest del
Texas, l’ex fuorilegge Roy Bean – alias Paul Newman – fa piazza
pulita di quanti lo hanno derubato rischiando di ucciderlo, grazie
all’intervento di una giovane messicana (Victoria Principal) in cui
l’uomo scorge una figura angelica; in un’altra scena, Bean si
reimbatte nella medesima ragazza abbigliata in un abito da sposa
bianchissimo, e non tarda a prenderla in moglie. In tutti questi
esempi, spesso e volentieri, l’angelo non detiene funzioni di
sviluppo nelle vicende e, anzi, la sua unica funzione si riduce alla
mera apparizione di “entità”, reale o supposta che sia.
Nel
versante della commedia, una particolare figura di angelo (o presunto
tale) è il giardiniere interpretato da Peter Sellers per Oltre
il giardino di Hal Ashby: tale personaggio è
creduto un’entità angelica da chi gli sta intorno, e a prima vista
non c’è nulla che convinca del contrario, appartenendo l’uomo –
come la Maude di Harold e Maude4
– a un mondo che è l’esatto opposto di
quello corrente. In realtà, per quanto candido, il protagonista non
è che un mentecatto analfabeta, i cui banali discorsi sul
giardinaggio sono scambiati per ottimistiche opinioni politiche, e i
cui silenzi per saggezza. L’angelo di questo film non ha alcuna
missione predefinita, laddove una “funzione celeste” gli è
appiccicata da una società soggiogata e istupidita dalla
televisione: ne consegue che l’angelo in oggetto non subisce
avversità né allontanamento, e anzi viene candidato alla presidenza
degli Stati Uniti. Se l’ingenuità dell’ignaro giardiniere è
interpretata erroneamente, e fatua è la mansione che deve rivestire,
un’effettiva riprova della sua effigie angelica è svelata
nell’ultima inquadratura, che lo ritrae mentre cammina sulle acque
di un lago: più che un angelo del Signore, si tratta di Dio in
persona?
Come
asserito, nella commedia si rilevano numerose riletture di angeli
demiurgici: un intero gruppo di essi è al centro di Signora
per un giorno e del suo rifacimento, Angeli
con la pistola, entrambi diretti da Frank
Capra. In ambedue le opere, immerse in una dichiarata atmosfera
favolistica, gli angeli sono addirittura dei gangster
che accorrono in aiuto d’una barbona loro
amica, in difficoltà per l’imminente visita della figlia cui ha
sempre fatto credere, per lettera, di essere una ricca signora
dell’alta società. La favola narrata nei due film è a lieto fine,
ogni cosa funziona a dovere e la donna vive la sua gran giornata. Due
tardivi esempi di commedia angelica, in cui l’entità celeste
somiglia a una presenza demiurgica, offrono Passaggio
per il paradiso di Cary Medoway e Uno
strano caso di Emile Ardolino: si tratta di
prodotti trascurabili, fedeli ai toni e agli sviluppi delle commedie
fantastiche anni Quaranta (quale il menzionato Joe
il pilota) aggiornate in tempi recenti con
magro esito, e più vicine a modelli cinematografici tipo Il
paradiso può attendere. Nel primo, l’anima
di un giovanotto imbrillantinato, morto negli anni Cinquanta in una
stupida gara di coraggio, può volare in Paradiso solo dopo aver
aiutato il timido ragazzo anni Ottanta figlio della sua ex fidanzata.
Nel secondo, l’avvocato Ryan O’Neal muore in uno “strano”
incidente per reincarnarsi nel corpo del giovane Robert Downey Jr.
che, mantenendo i ricordi della vita precedente, incontra la vedova
Cybill Shepherd rimastagli fedele e la figlia Mary Stuart Masterson,
che s’innamora di lui. Ancora, nel modesto La
donna esplosiva di John Hughes, l’angelo si
materializza al computer per mano di due teenagers:
a metà fra la Fata Turchina e Frankenstein, dotata di poteri magici
e delle sembianze sexy di Kelly LeBrock, la creatura coinvolge i suoi
creatori in avventure movimentate e fa scoprire loro l’amore.
Qualcosa
di molto assimilabile a una funzione celeste la rivestono i Beatles
di Yellow Submarine – Il sottomarino giallo,
deliziosa opera a disegni animati diretta da George Dunning. I
Quattro di Liverpool arrivano oltretutto in una sorta di Paradiso
ribattezzato Pepperland, cui la tirannia dei cupi e arcigni Biechi
Blu ha privato di musica, colori e gioia di vivere. L’intervento
dei Beatles riporta la pace e l’allegria e, manco a dirlo, l’arma
di cui si servono sono le loro canzoni. In questa circostanza,
l’angelo demiurgo trova un riscontro nella figura del profeta:
pure, ciò traspare nel personaggio di Maria (Brigitte Helm) nel
capolavoro di Fritz Lang, Metropolis.
Maria è una candida benefattrice che predica la pace ai bambini e
agli uomini, la cui purezza conquista il figlio del più potente
rappresentante del potere economico in una megalopoli avveniristica.
Una delle prime scene vede la ragazza guidare un lungo corteo di
orfanelli nei luoghi più lussuosi della città, presentando coloro
che vi abitano come “fratelli e sorelle”; in un altro momento, la
giovane racconta agli operai la leggenda della Torre di Babele.
Sebbene vestita di stracci, Maria appare una creatura dai lineamenti
fanciulleschi che la rendono una divinità accostabile a uno spirito
celeste, se non a una bianca Madonna, come del resto il suo stesso
nome farebbe pensare. La seconda parte del film ruota sulla
contrapposizione tra la vera Maria e quella falsa, predicante la
violenza e la rivolta, che si rivela un robot costruito all’uopo.
Nell’epilogo, la vera Maria torna a ricoprire le mansioni di dolce
angelo benefico, sollecitando la pace fra operai e padroni: per
questa serie di motivi, il suo personaggio riveste le spoglie di un
angelo di Dio, le cui funzioni sono proprie di un’entità angelica.
Francesco Saverio Marzaduri
1 Il
teorema del titolo si riferisce all’incapacità del borghese –
ossia dell’uomo – di percepire e ascoltare, assorbire e vivere il
sacro.
2 SALVAGNINI,
Rudy: Hal Ashby.
Firenze, La Nuova Italia, 1991. Pag. 27.
3 L’attore
è anche protagonista del pessimo Al di là
dei sogni di Vincent Ward: per la verità, in
questa rivisitazione esageratamente new age
del mito di Orfeo ed Euridice non è di turno un angelo, anche se il
personaggio di Williams ricopre, casuale, una “funzione celeste”
nel momento in cui, a prezzo della vita, tenta di soccorrere un
automobilista.
4 Il
paragone non sorprende più di tanto, dal momento che le opere cui
appartengono i rispettivi personaggi recano la firma del medesimo
regista.
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