Il fattore umano secondo Eastwood
Il fattore umano secondo Eastwood
Ripensando alla complessa agiografia di Bird, in cui Charlie Parker è offerto come un autodistruttivo di rara
cocciutaggine, o al reticente infantilismo del John Huston riadattato
per Cacciatore
bianco, cuore nero,
ben si comprende come il cinema di Eastwood insista sulla
contraddittorietà di personaggi, alter
ego dell’autore,
in eterno
conflitto con una Storia ancor più contraddittoria. Fedele a una
classicità cinematografica debitrice della grande tradizione del
passato, lo sguardo non s’arresta a singole figure ma si allarga
via via ad un più ampio raggio: il biopic
è la cornice più adatta a quelle introspezioni che non si limitano
a reinterpretare la realtà in termini mitologici – incluso il
supposto garantismo del sistema – ma rimettono in discussione
l’ordine fin dalla mitizzazione, senza fare sconti neppure al
governo federale, alla sua icona di punta e al dualismo
informazione-potere, in cui quest’ultima afferma di credere. Come
peraltro dimostra il dittico dedicato al secondo conflitto, Eastwood
demistifica la leggenda divulgando un’autenticità priva di
retorica trionfalistica, mettendo in luce l’amaro prezzo di eroi
nazionali condannati alla solitudine, le cui colpe si fanno merito. A
far la differenza è quasi sempre il fattore umano, e ciò basterebbe
a perdonare a Eastwood – conservatore ed anarchico insieme – le
simpatie vere o presunte verso l’estrema destra. E l’ultima
fatica, Richard
Jewell,
giunge come riverbero di un’odierna condizione politica sempre più
tiepida, dove l’endorsement
trumpiano, fondato sull’apparenza, si concretizza in una completa
mistificazione, foriera di sentimenti devastati e macerie (non solo)
interiori, svelando l’irriducibilità di un’etica in costante
scontro col potere e il conformismo d’opinione.
Francesco Saverio
Marzaduri
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