MALU

Malu 


Coproduzione nippo-malese, 
Malu (“Timida”), terzo lungometraggio di finzione firmato Edmund Yeo, è una vicenda di legami familiari in cui il passato gioca un ruolo tematico primario. La narrazione procede infatti attraverso un progressivo mosaico a flashback, al contempo evocativo e restitutivo, dove a salti temporali si dipana la tragica infanzia di due sorelle – risolta da un trascorso ch’è il loro unico anello di condivisione – ma pure la differente trasformazione “adulta” di entrambe, dovuta a differenti equilibri (non solo familiari). L’elaborazione del passato contrasta con la frustrazione dei personaggi di fronte a desiderio e inconscio, tra sentimenti, fantasmi e onirismi, che si frappongono a intralciare il conseguimento (utopico) della felicità. Non si spiegherebbe altrimenti la scelta di Lan di fuggire in Giappone dopo la morte della madre, verso cui un irrisolto rancore, nella strenua ricerca del benessere, sopperisce a lealtà e devozione – ostacolo, del resto, ribadito dal confronto con la più agiata Hong. La riuscita di quest’ibrido tra mélo e thriller, ininterrotto amalgama di fotogrammi fluidi e inquadrature in movimento, non risiede nell’assunto in sé quanto in poetiche scelte di campo: le immagini naturali di cui Malu è permeato si coniugano a un predominio di primi piani, algidamente fotografati da Kong Pahurak, e a un’estetica tonale dove il colore funge da fattore antitetico: simbolici, infatti, i nomi delle protagoniste, dove Hong sta per “rosso” e Lan significa “blu”. A rinforzo dell’esito, contribuisce un silenzio diegetico che permette allo spettatore di consumare gli elementi a disposizione, per concentrarsi sulle semantiche da essi evocate quali reali significanti. La minimale partitura di Erik Satie fa il resto. 


Francesco Saverio Marzaduri 

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