Scherzi del destino: SI VIVE UNA VOLTA SOLA

Scherzi del destino: Si vive una volta sola 


In una recente intervista, rilasciata a corredo dei contenuti extra del dvd di Compagni di scuola, a tutt’oggi tra i suoi lavori meglio riusciti, Carlo Verdone racconta come lo spunto del film sia nato a seguito d’una rimpatriata con alcuni compagni di liceo, ormai in età adulta; costoro, di fronte allo spettro della mezz’età, si comportavano come se il tempo dei lazzi giovanili e delle sparate goliardiche non fosse mai trascorso, col risultato inevitabile di una desolante, e squallida, impressione generale. Se si aggiunge che Verdone non abbia mai fatto mistero di girare e rigirare il medesimo prodotto, Si vive una volta sola – suo ventisettesimo lungometraggio – prosegue una linea iniziata già da anni, intessuta di luoghi canonici che permettono all’autore-attore romano di coniugare la propria vis a corde amare e, specie nell’ultimo ventennio, drammatici registri. E se lo stesso personaggio da lui interpretato, il professor Umberto Gastaldi, è un rispettabile chirurgo il cui altisonante nome riporta al sordiano Guido Tersilli, più semplicemente lo stereotipo del medico rientra nella galleria di consolidate (ed emulate) macchiette del Nostro; e non è un segreto per nessuno la sua appassionata ossessione per medicinali e patologie. Pure nel topos del viaggio in Puglia, organizzato dall’equipe di luminari per aiutare un collega gravemente malato, non è difficile individuare l’ennesimo road movie, genere che più di altri consente di esorcizzare ansie e dilemmi della monotonia borghese, per ritrovare e consolidare valori legati all’amicizia e all’allegria. Fuori e dentro lo schermo, quest’ultima confezione seguita i chilometri che nel precedente Benedetta follia il plurisessantenne Guglielmo percorreva con la neo-compagna a bordo della propria moto per godersi gli ultimi momenti di spensieratezza; lì come qui la riflessione sul tempo che scorre e la difficoltà di rapportarsi alle nuove generazioni fa il paio con una disamina sul ruolo di Verdone nell’ultimo panorama filmografico. Eppure, il declino senile al centro di Si vive una volta sola è testimoniato da una summa di situazioni e soluzioni abbondantemente collaudate – e ormai stantie – dove la gioviale trivialità coatta del decennio Ottanta s’inserisce goffamente nell’andazzo di un’epoca ipocrita e involgarita, le cui figure preferiscono adattarvisi consapevoli dei propri meschini trionfi (la conturbante figlia-soubrette di Umberto, che si vergogna per le partecipazioni tv d’una ragazza perennemente col didietro in bella mostra dentro e fuori casa). L’usuale clericalismo presente, oggetto di un’ulteriore facezia del team ai danni del Rocco Papaleo vittima predestinata delle loro burle, o l’abbozzo dei politici corrotti, sfilanti senza una vera posizione nell’assunto, appaiono bersagli sin troppo stereotipati, propri di un’abusata scrittura da piccolo schermo, dal dubbio gusto costantemente dietro l’angolo, e non a caso nel cast figura anche il Sergio Múñiz lanciato da L’isola dei famosi. Se poi escludiamo un sentimentalismo d’accatto che sfocia nel moralismo più irritante (l’affettuoso video-messaggio tra padre e figlia allo smartphone), l’obiettivo d’uno humour gratuito si concede a freddure di grana grossa (la serenata di Papaleo alla chitarra per dileggiare l’amante iberico di Anna Foglietta), doppi sensi, scurrilità che avrebbero fatto fortuna nella scollacciata pochade, esplicando senza orpelli, insieme a un vano turpiloquio, un melanconico tentativo d’aggiornamento ridotto a girare a vuoto. Come se lo j’accuse lanciato un trentennio prima contro i Santolamazza, i Lepore, i Valenzani e compagnia bella si fosse traslato nel proprio inverso, a beneficio di tali odierni mostri. C’è chi afferma che in epoca di COVID-19 la voglia di resistere con l’arma della risata, per di più “corretta”, suoni fuori luogo: congelato da oltre un anno nell’identica settimana della chiusura delle sale a causa del lockdown, il titolo di Verdone è stato oggetto d’un beffardo Fato che, tra posticipi e fermi, ha indotto il produttore De Laurentiis a rilanciarlo nel pacchetto Amazon, non senza polemiche. Purtroppo l’attuale realtà è un’alcova di umane miserie e orrori inimmaginabile per qualsiasi profetica restituzione: il tempo per celie e barzellette, si chiamino vanzinate o cinepanettoni, pare essersi arenato; e il Verdone che vent’anni prima diceva di non interessarsi ai format televisivi, si starebbe occupando d’una serie, Vita da Carlo, d’imminente uscita per Prime: inequivocabile segno che i conti della carriera non si possono fare senza il destino nei panni dell’oste. E se impressionante è la somiglianza fisionomica del settantenne cineasta col padre Mario, stavolta appare distratta anche la direzione degli interpreti: null’altro che una cialtronesca boutade priva di genuina cattiveria, Si vive una volta sola stenta quale allegoria d’una commedia generazionale in fase calante, per la quale non sembra esservi più posto, surclassata da un’era e un pubblico che ha cessato di ridere e deridersi. Assente la consueta colonna sonora rock, sopperita dalle leggere musiche di Michele Braga e Tommy Caputo. Annoverante pure un duplice epilogo, con tanto di coup de théâtre troppo citofonato per esserlo, l’esito odora di tenero patetismo: più noia che stentati sorrisi, ben lontano dalla grazia delle mitiche pellicole dell’attore-regista; e il coraggio di osare, e mettersi in gioco, nell’interpretazione critico-sociale del Presente non è che un ulteriore borotalco, senz’acqua né sapone. L’abbiamo fatta grossa? Non per questo perdiamoci di vista.

Francesco Saverio Marzaduri 

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