Lettera a uno “spietato”

Lettera a uno “spietato”


Prima di giocare bisogna conoscere le regole.” 
CLINT EASTWOOD, Scommessa con la morte 

A costo di farsi passare per ciò che non è, ma con tutte le ragioni per farlo, chi scrive ti considera il più grande cineasta statunitense vivente. Che, indipendentemente dai novant’anni raggiunti, riutilizzando l’espressione di un caro amico e collega, riesce ad essere senza tempo senza andare fuori tempo, conservando inalterata, dietro le granitiche rughe, la propria giovinezza artistica e umana. 
E per quanto sovente mi sia occupato della tua filmografia tra riviste e blog, voglio indicare qui solo un paio di motivazioni, strettamente personali, alla larga da ogni possibile blandizie o marchetta verbale. La prima: l’incondizionato amore per te, quasi un lustro fa, mi costò qualche autorevole aggancio su un noto social network, sponsorizzando l’intervento di un collega che, a mio avviso, suonava più giusto di un altro, che giudicavo cattivello. E giù con le polemiche. Anche perché l’opera in questione – come capita da quasi cinquant’anni, quando si parla di te – non mancò di suscitare controversie: American Sniper, uno dei migliori tra i recenti titoli. Ma, si sa, in un mondo perfetto cose del genere non succederebbero neanche... 
La seconda: in occasione della struggente ballata (di) Richard Jewell, vista tre volte prima che il Covid-19 imponesse la chiusura delle sale, l’aver speso qualche riga relativa al ruolo dei mass-media, sui quali il tuo sguardo incede di pari passo tra il feroce e il sarcastico. E ricordando, nel farlo, una persona che non c’è più e a cui ho voluto bene, come una seconda madre. 
Benché all’apparenza insufficienti, per quanto mi concerne tali ragioni basterebbero a testimoniare l’indissolubile legame che da Gli spietati, e prima ancora l’agiografico mosaico di Bird, sino ai successivi lavori registici della maturità mi avvicina alla tua rinascimentale saggezza, prodotto di una contraddittorietà figlia d’un costante mutamento d’epoca. Ogni volta in grado di rialzarsi quando lo si dà per spacciato, come l’(inde)fesso protagonista de L’uomo nel mirino, pronto a rimettersi di nuovo in gioco tra parodia e serietà. Un potere assoluto, se non un debito di sangue – o meglio, un blood work. E chi meglio di te sa che mo cuishle, in gaelico, significa “mio tesoro, mio sangue”? Al di là del tempo o di qualsivoglia polemica politica, in molti casi futile quanto superflua. In barba a chi si convince che questo non è un paese per vecchi... 
Buon compleanno, vecchio (giovane) Clint, californiano dagli occhi di ghiaccio. Qualcuno da amare. 

Francesco Saverio Marzaduri

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