Alan Parker: il rapido di mezzanotte
Alan Parker: il rapido di mezzanotte
“Una volta un critico mi ha descritto come un fascista estetico.”
ALAN
PARKER
Strano
che nel cumulo di tributi e accorati omaggi ad Alan Parker, scomparso
il 31 luglio, quasi nessuno abbia speso qualche riga per un’operina
del ’71 di cui fu sceneggiatore e aiuto regista: Melody,
il cui titolo italiano fu quanto di più chilometrico e demenziale si
potesse immaginare (Come
sposare la compagna di banco e farla in barba alla maestra).
Qui la voglia di libertà d’una combriccola di adolescenti
terminava con un allegorico sposalizio dei due protagonisti, mentre
il desiderio d’evasione dai rigidi dettami dell’istituzione
inglese non poteva non rammentare la lezione dei giovani arrabbiati
del Free,
conclusosi qualche lustro prima e offerto quale eponimo precedente.
Anche se poi seguì la parentesi altrettanto breve della Swinging
London,
e un ulteriore bagaglio di novità controculturali, l’esperienza
anticonformista conciliante col realismo della quotidianità
indubbiamente aveva lasciato il segno: soprattutto nella scelta di
topoi
e luoghi canonici che Parker, come la moltitudine di cineasti e
colleghi transfughi dal paese natio, avrebbe recuperato nella
produzione statunitense. Non dimentico dell’apprendistato compiuto
per le agenzie pubblicitarie – prima di compiere in
primis il
balzo come produttore e aggiudicarsi numerose onorificenze di settore
– l’esordio nel lungometraggio avvenuto nella secondà metà
degli anni Settanta, Piccoli
gangsters,
è la risposta personale al citato Melody:
se il mondo esterno, sopraffatto dalle contraddizioni adulte, può
essere sovvertito dalla giocosa dimensione dei ragazzini, così pure
il Proibizionismo e Al Capone, ghiotta materia prima per la
celluloide, tornano occasione di sfottò, complici torte alla panna
scagliate come pallottole di mitra, permeando di ludica magia una
sfera nostalgica. Altresì, in un lavoro tra i meno riusciti e
ricordati del regista britannico, Spara
alla luna,
le figlie d’una coppia in via di separazione non possono che
assistere impotenti agli egoismi e al reciproco astio dei genitori.
L’adolescenziale
smania di sfidare l’emisfero adulto è un pilota automatico, prima
che un pattern,
che quasi sempre il cineasta estrapola da assunti altrui, dove
l’impeto della Storia e i suoi delicati contorni riportano di peso
i personaggi centrali a una realtà opprimente; va da sé che
l’amicizia o comunque la solidarietà tra i protagonisti è
ingrediente-standard per non soccombere alle prepotenze, se non alle
violenze, del sistema. Si tratti di distinguersi in ambito artistico,
fuggire dal mendace “sogno americano” verso l’Irlanda e una più
decorosa esistenza, disertare dall’esercito per prendersi cura
della famiglia in barba alle illogicità del conflitto, o
assurdamente fantasticare di librarsi in volo come un piccione,
l’opera di Parker palesa una meta da raggiungere fino in fondo,
resistendo, come in Birdy
– Le ali della libertà,
ai gorilla del potere rei di marchiarli nel fisico e nello spirito.
Favole sul riscatto, le sue, che al fattore onirico, talora
pantografato e talaltro kitsch,
accludono tinte violente, dirompenti, in cui il solido mestiere
rischia una maniera spesso fine a sé stessa. Scrupoloso sui momenti
tragici, Parker insiste su ogni concetto almeno un paio di volte,
come ossessionato dal timore di creare ambiguità, e un’univoca
condizione di prigionia, a mo’ di unicum,
abbraccia gli assortiti sfondi temporali via via presentati. Sicché
la brutalità d’un carcere turco, restituito come un girone
infernale alla Bosch, adombra a tratti la metafora del “rapido di
mezzanotte” indicante la ferrea tenacia nel fuggire da un incubo,
senza impedire a Billy Hayes, all’improvviso guidato da una luce
divina, di riuscire nell’intento; lo stesso dicasi per Birdy e Al,
reduci segnati dalla “sporca guerra”, nell’eludere le
altrettanto opprimenti mura dell’ospedale, o per i coniugi
Lightbody nell’atroce clinica della salute dove alloggiano, agli
inizi del Novecento, per superare la crisi. Il bastian contrario
della seducente morsa in cui il detective Harry Angel, tra magia nera
e sesso, è invischiato senza possibilità di salvarsi dalla
perdizione eterna.
Come
peraltro ribadisce la trasposizione di Evita, non per niente il musical, tra tutti i generi narrativi esplorati e
talvolta accroccati, è quello che più corrisponde all’anarchia
del cineasta, a proprio agio in un paradigma di sogno a un passo
dalla concretizzazione. Pink
Floyd. The Wall
e
The Commitments,
girati a dieci anni di distanza l’uno dall’altro, ostentano
rispettivamente l’allucinato milieu
d’una prigione mentale – composta da flashback deliranti, che
all’occorrenza sfociano nel disegno animato – e quella
trasgressiva di un’evasione attraverso la formazione della soul
band
dublinese del titolo, posta come ricostituzione anticonformista per
quanto non esente da immancabili incagli; in ambo i casi, la musica è
diegetico fil
rouge adibito
a una specifica funzione, che nel primo esorcizza un muro psicologico
intriso di follia e degradazione, prima di ricondurre il protagonista
alla realtà, e nel secondo, sull’analoga falsariga di Saranno
famosi,
funge da libertario leitmotiv
in un’esplosione di collettiva passione, dai primi passi all’amara
e inevitabile decisione finale. Non c’è da batter ciglio se lo
stile d’un cineasta così estetizzante, poco incensato dalla
critica, eppure capace di entrare nel tempo, negli spazi e umori dei
contesti, tuttora non sia oggetto di rivalutazione; nè ci si stupisce se
il pubblico di fine millennio cresciuto a pane e clip, in un periodo
in cui l’estetica patinata della pubblicità assurgeva a norma,
abbia accolto la dipartita di Parker con inaspettata malinconia.
Forse perché, in un’epoca che rapidamente ha inghiottito e
superato tutto, gli odierni quarantenni rimpiangono la nostalgia
d’una sfera chiassosa, eccessiva ma vitale, dove la sete di
trasgressione, col proprio rutilante corredo di fantasie, era di più
accattivante portata, prima di declinare come ogni tendenza. Così
pure l’occasionale impegno civile nel tentativo di modificare il
mondo su questioni sociali, la lotta al razzismo di Mississippi
Burning o
la pena capitale (e la sua fallibilità) nel conclusivo The
Life of David Gale,
non celava didascalismi ma nemmeno buoni propositi. Benvenuto in
paradiso, Alan!
Francesco Saverio Marzaduri
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