(Poli)sensi orrifici
(Poli)sensi orrifici
Xavier
Gens, Pascal Laugier, Alexandre Bustillo e Julien Maury, Alexandre
Aja, Gaspar Noé, Hélène Cattet e Bruno Forzani, Fabrice du Welz,
Xavier Palud e David Moreau. Davvero ghiotto e assortito, tra registi
e sceneggiatori, il menù offerto da Frontiers
– Il cinema horror franco-belga degli anni zero,
edito da Shatter: volume che per la prima volta in Italia si premura
di radiografare una produzione di genere cui, nonostante
l’appassionata nicchia di estimatori, sembra paradossalmente non
esser stata dedicata l’attenzione che il citato comparto di nomi,
soprattutto in questo primo ventennio di nuovo secolo, avrebbe
meritato. Ciò perché – asserisce nell’introduzione Fabio
Zanello, curatore del testo e autore di alcuni tra i saggi annoverati
– da sempre il cinema di genere prodotto in Francia, dal dopoguerra
in avanti, pare fatto apposta per scompaginare la critica; e se la
Nouvelle Vague impone un modus
operandi rivoluzionario
ed eversivo piegandolo alla propria poetica, fermo restando poco
indulgente nei confronti d’una filmografia di schietto stampo
popolare, cineasti quali Jean Rollin o Georges Franju fungono da
transizione per un punto di svolta: nel primo caso abbracciando uno
stile espressionistico e allucinato, che amalgama reale e surreale, e
nel secondo restituendo la convenzionalità del più documentaristico
quotidiano col dirompente surrealismo di fotogrammi strazianti.
Sicché l’horror francese non nasconde di mirare a una percezione
sensoriale, fatta di stimoli più che di un apparato
grandguignolesco, peraltro presente; in tal senso, complici impensati
stati dell’essere coniugati a situazioni estreme, scopofilia
permettendo, si può tranquillamente identificare uno studio
sinestetico che l’acclusione di altri due nomi, Maurice e Jacques
Tourneur, incrementa nei suoi avanguardistici risvolti d’onirismo,
di volta in volta traslato in allucinazione, ossessione, psichica
deriva.
Esaminata
da un pot-pourri di
storici e critici cinematografici, tra i quali chi scrive, la
casistica di succitati nomi è ben consapevole di non occuparsi d’un
settore per tutti i gusti, i cui limitati budget non
impediscono di rielaborare, a mo’ di omaggio, forme e contenuti
della formula orrifica in auge nel ventennio Settanta-Ottanta, in
qualche caso dopo un apprendistato nel corto, imponendosi nei
circuiti di kermesse e
rassegne, e di lì a non molto attraverso la diffusione dell’home
video e
della piattaforma digitale. Non a caso, il titolo del volume
collettivo è preso a prestito dal primo lavoro di Gens, che al pari
di altre opere quali Alta
tensione, Martyrs o À
l’intérieur – tutte
contemplate e analizzate nella pubblicazione – è salutato come uno
tra gli slasher più
interessanti e violenti degli ultimi anni. Rilevare l’irrinunciabile
influenza dei loro autori, oggetto di censura in patria, verso
l’archetipo statunitense, è fattore sin troppo scontato. Meno lo
è, invece, che la dimensione adottata, nel mare magno di echi e
riferimenti, serbi un’aura intimista e umanista capace
d’interpretare la contemporaneità da una prospettiva bifronte,
personale e politica: tanto da essere rapido oggetto di culto ed
emulazione negli States, che commissiona a quegli stessi cineasti
film dagli alterni esiti, ma anche capitoli costitutivi di fortunate
saghe (Leatherface)
o remake di
classici (Le
colline hanno gli occhi).
Il
manuale contempla poi esegesi di prodotti in linea con sensazioni
orrifiche atte a lacerare (e riplasmare) corpi e volti, dove il
cinema – s’illustra – sulla carta è “materia filmica che
stimola gli strati materiali dello spettatore e lo porta davanti a
quell’orrore che coglie l’individuo di fronte al riconoscimento,
in sé, di qualcosa che credeva essergli estraneo, non
appartenergli”.1 Ciò
non azzera l’impressione, spiega Elisa Torsiello, che la sensazione
di fobia o ribrezzo, anche solo la presenza di figure mostruose,
alternando una visione critica sulla contemporaneità al mero
intrattenimento, non sia pattern imprescindibile teso
a scuotere l’osservatore, provocazione permettendo, allo scopo di
porlo di fronte al pregiudizio. E in tema di provocazioni, c’è chi
come l’argentino Noé – memore della barbarie sociale in cui
quand’era bambino precipitò il paese natio, dal quale fuggì –
si prefigge il compito di spronare la coscienza del pubblico
palesemente calcando le tinte. In gran parte dei casi ne scaturisce
un emisfero lontano dalla Lux
Æterna,
sovrastato da anime dannate che si rilasciano al vortice degli
impulsi, per la quale la violenza è componente dominante (guarda
caso, il testo è dedicato all’attore-feticcio Philippe Nahon,
stroncato dal COVID-19 lo scorso aprile): tanto da fare dell’autore
un nome inclassificabile, per il quale fin troppo breve è il passo
che scinde il registro della brutalità dall’istigazione fine a sé
stessa, in ambedue i casi sul costante e labile filo della
veridicità. Eppure, in una filmografia che fa dell’eccesso il
proprio vessillo, disgusto e raccapriccio assumono contorni
insospettati e più intimi.
L’ultima
parte – che assomma altre firme per le quali s’allarga la forbice
tra genere e autorialità, da François Ozon a Claire Denis, senza
rinunciare ai rispettivi topoi e
stilemi – è il tassello non meno rilevante d’un lavoro che,
certo, non assurge a uni(vo)co tripudio d’un genere, adibito semmai
a una possibile interpretazione e a un conseguente ridimensionamento,
da una decina d’anni incrementato da ammiratori ed esperti.
Qualcosa di affine alla grottesca maschera dell’anonimo volto,
tumefatto dai cazzotti d’una figura invisibile, nel segmento finale
di Adrénaline,
titolo altrettanto miscellaneo e anch’esso menzionato
nell’introduzione del libro: un’opera deformata (e deformante),
oggetto aperto a possibili ermeneutiche, non necessariamente opera
artistica il cui travolgente flusso di inquietudini, come un fiume in
piena, non può – né deve – lasciar indifferenti.
1 AUTERI,
Aurora, Storie
di corpi e di trasformazioni: “Raw” e “Revenge”.
Contenuto in: ZANELLO, Fabio (a cura di), Frontiers
– Il cinema horror franco-belga degli anni zero,
Vicenza, Shatter Edizioni, 2020. Pag. 93.
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