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Visualizzazione dei post da marzo, 2019

Una donna tutta sola (ma non troppo): GLORIA BELL

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Una donna tutta sola (ma non troppo): G loria Bell  “ Posso attendere un altro giorno Prima di chiamarti È solo che hai il mio cuore in pugno E tutto galleggia Ma un’altra notte in solitudine Potrebbe durare per sempre È solo colpa nostra Per me è lo stesso, amore Perché so cos ’ è giusto, lo sento...”   PAUL McCARTNEY   Ricordate il film in cui il compianto Paul Mazursky, una quarantina d ’ anni fa, narrava d ’ una working woman che, tradita dal marito per una donna più giovane, ricercava il proprio equilibrio di persona indipendente? Ebbene, Gloria Bell , settima prova registica del cileno Sebastián Lelio e sua seconda trasferta statunitense, affronta un analogo tema restituendo il ritratto di un ’ impiegata cinquantenne ma ancora affascinante , divorziata con due figli adulti e alle prese con una relazione turbolenta. Un lustro prima, Lelio aveva già diretto la stessa storia ( Gloria ) nella sua terra d ’origine, permettendo all’interprete P

C’era un padre: SAVING MR. BANKS

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C’era un padre: Saving Mr. Banks  Chi scrive, a un lustro dall ’uscita in sala di Saving Mr. Banks , concepita per celebrare il cinquantenario di Mary Poppins , ribadisce che s i aspettava di più dopo aver assistito al recentissimo e non meno altalenante reboot targato Rob Marshall. Nel film di J ohn Lee Hancock, alla quarta prova da regista e in passato sceneggiatore eccellente per Clint Eastwood, a non convincere non è tanto la continua miscela di passato e presente di cui è permeato il tessuto narrativo: in un paio d ’ occasioni, anzi, se la mente dello spettatore torna al proprio fanciullesco trascorso, l ’operazione riserv a qualche magico brio. Quel che manca, affinché la storia della nascita di Mary Poppins conquisti appieno, o aggiunga quel tanto che soddisfi, è la soavità del tocco favolistico, anche – e soprattutto – per quanto concerne la psicologia del personaggio principale: nella prima mezz ’ ora suona abbastanza immotivata la tempra glaciale, priva di qualsiasi u

Tornando a casa: NEBRASKA

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Tornando a casa: Nebraska  Non è più tempo di eroi, lo si è scritto tante volte, e meno ancora però di antieroi. Nemmeno a farlo apposta, di un cinema che pareva sorpassato (già) una ventina d’anni fa, nel decennio in cui prodotti quali Buon compleanno Mr. Grape di Lasse Hallström o Affliction di Paul Schrader, che da quella filmografia discendono e in un certo senso reiterano, si trovavano a far di conseguenza i conti, in termini di pubblico e cifre, con prodotti che indirizzavano l’industria cinematografica verso una nuova era. Un accattivante black hole , probabilmente enigmatico ma certo più progredito di quello teorizzato da apologhi fantascientifici, in seguito diventati cult, concepiti alla loro uscita per mettere lo spettatore in allarme. Di fronte a un titolo come Nebraska , lo spettatore odierno, assuefatto a tecnologie e derivati, si troverebbe ovviamente spiazzato. Non però lo spettatore cresciuto a pane e New Hollywood che, lungo gli itinerari di frontiera veduti

Scene da uno psicodramma: I VILLEGGIANTI

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Scene da uno psicodramma: I villeggianti  Si sa che il grande schermo si è spesso prestato a quelle che Kezich definiva “teatrate”, opere cioè che puntano sulla notorietà e il carisma degli interpreti per sopperire al vuoto di vetusti canovacci o a carenza d’idee. Da qualche tempo però, anche lo spettatore più condiscendente storcerebbe il naso a fronte di un cinema in cui l’impostazione – teatrale – della  mise-en-scène  serve solo a colmare due ore di  déjà vu . Tirare in ballo i più noti maestri dell’incomunicabilità, da Antonioni a Bergman, suonerebbe patetico ancor più che inappropriato, dato che l’insincerità della recitazione al servizio di un progetto lacunoso si rivela irritante e basta. Quanto a dire che  I villeggianti , quarto cimento registico di Valeria Bruni Tedeschi, non offre molto più d’un campionario di assortita umanità riunito per una sorta di terapia di gruppo, divisa in tre atti con annesso epilogo, in una lussuosa  location  in Costa Azzurra fuori dal

Idrissa Ouédraogo: appunti su un cinema (in)visibile

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Idrissa Ouédraogo: appunti su un cinema (in)visibile  A un anno di distanza dalla prematura scomparsa di Idrissa Ouédraogo, eponima firma della filmografia africana, è lecito porre in risalto quella che, in apparenza, parrebbe una produzione elementare, dove i corpi attoriali attraversano lo schermo nel pieno d’uno spazio naturale che sembra sopraffarli, e si rivela invece un’attenta geometria scenica. I personaggi di film quali Tilaï , Samba Traoré , Le cri du coeur , e prima ancora Yam Daabo o Yaaba , non sono che minuscoli punti di un’astrazione palpabile in cui la mise-en-scène è disposta in linea con un’apparenza ingannevole. I piccoli episodi quotidiani, innescati da una casualità di pari passo con folklore e abitudini tradizionali, sono carpiti da un obiettivo alla costante ricerca d’un evento inatteso, in cui il Fato è aritmetico fattore. A far la differenza, consentendo all’evento di non tradursi in una sensazionale bagarre , è il nitore figurativo, d’una semplicità vo

Alla ricerca dell’innesto perduto: BLADE RUNNER 2049

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Alla ricerca dell’innesto perduto: Blade Runner 2049   “ Perché realizzare un’opera quando è così bello sognarla soltanto?” PIER PAOLO PASOLINI, Il Decameron Non hanno ancora inventato una macchina capace di fissare il sogno prodotto dalla mente, e il giorno che succederà la fantascienza non avrà più significato. Quando il capolavoro di Ridley Scott uscì nel 1982, l’idea di un avvenire tetro come visto in quel film pareva non ammettere ricostruzioni altrettanto cupamente efficaci, e un eventuale sequel di Blade Runner avrebbe rischiato accuse di blasfemia. Sul punto, soprattutto, se il protagonista sia o meno un replicante. Stando alle scelte del regista Villeneuve, non pare giusto dissertare su un’opera che non è un vero sequel , né un calco del prototipo (del resto impossibile). E se nel precedente Arrival una linguista era reclutata dalle forze militari per scoprire se alcune navi aliene avessero o meno intenzioni pacifiche, qui l’autore prosegue il discorso spostan

La mano di tarocchi che non sai mai giocare: KNIGHT OF CUPS

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La mano di tarocchi che non sai mai giocare: Knight of Cups  “ O giorn i, o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia. Diverso tutti gli anni, ma tutti gli anni uguale, la mano di tarocchi che non sai mai giocare, che non sai mai giocare.” FRANCESCO GUCCINI Con Knight of Cups , Malick continua una riflessione iniziata con The Tree of Life e proseguita con To the Wonder , che con Song to Song , immediatamente successivo, r ealizza e completa una trilogia dedicata all’umana fragilità morale, allo smarrimento di quei valori che l’evoluzione del pensiero ci ha consegnato come fondativi e universali. In To the Wonder , l’incantamento del titolo era dato dall’innamoramento, che sia pure intenso e avvertito come vero non reggeva al tempo e ai cambiamenti di situazione, di luogo, di condizione. Era dato dalla passione, anche interiore, che il mutare degli anni e il crescente vissuto s’incaricano di sciupare; dall’uomo che a