Post

Visualizzazione dei post da luglio, 2020

Gone with Hollywood

Immagine
Gone with Hollywood  La scomparsa di Olivia de Havilland, ultima diva ancora in vita della Grande Hollywood dorata, era purtroppo qualcosa di atteso. Come per Kirk Douglas, più giovane di cinque mesi e mancato lo scorso febbraio. Scompare lei, e scompare definitivamente un mondo: una bolla di sapone lunga più d’un secolo, cui non resta che sopperire con la memoria, ed eventualmente con le suggestioni del mito. E com’è consuetudine del web, nel salutare calorosamente una stella entrata nel collettivo immaginario per un ruolo (superfluo dire quale…), la tornata di messaggi in cui ci s’imbatte suona più leggendaria delle interpretazioni da questa offerte; nella fattispecie, quando la celluloide e la sfera privata si fondono sino a formare un singolare unicum . Ecco allora che Olivia Mary – questo il nome anagrafico – è il dolce e suadente contraltare dell’irruente guasconeria di Errol Flynn in sette titoli griffati Warner, molti dei quali ( Capitan Blood , La carica dei seic

L’ABBIAMO FATTA GROSSA: una buona stella?

Immagine
L ’ abbiamo fatta grossa : una buona stella?  In film dal congegno collaudato ma dall’impianto comico usurato, perlopiù non esenti da gag di grana grossa, ci si può pure imbattere in impreviste denunce a mo’ di monito sottotraccia. Si parla frequentemente di faciloneria in certe commedie di costume e a Carlo Verdone – che del paradosso dietro il bozzettismo ha fatto la propria cifra artistica per oltre un trentennio – la si contesta spesso. Basti pensare a l titolo precedente questo, Sotto una buona stella . Non sempre s’indovina il mutare dei tempi, non sempre ci si adatta, e la volontà di un cambiamento artistico è fattore troppo rischioso perché il pubblico, conquistato nel tempo, sia disposto a seguire il nuovo percorso senza perplessità.   Arrivato alla soglia dei 65, Verdone, in L’abbiamo fatta grossa , ribadisce i suoi usuali e perdonabili difetti: sempre encomiabile è il desiderio, maturo, di aggiornare la propria tipologia di commedia, mostrare i nuovi tic e l

Riso in bianco: SOTTO UNA BUONA STELLA

Immagine
Riso in bianco: Sotto una buona stella   In una recensione di Stasera a casa di Alice , il compianto Giovanni Grazzini scriveva che un cineasta del calibro di Carlo Verdone, sempre più padrone dei propri mezzi, aveva tutto il diritto di maturare. La qual cosa torna utile dopo la prova fornita dall’attore-regista romano per La grande bellezza di Paolo Sorrentino, nei panni di uno sceneggiatore fallito dedito alla bella vita: di fatto un ennesimo vitellone di mezz’età che a un certo punto sceglie di rinunciare a tali agi, messo alle strette dalla cocente delusione, esistenziale e artistica, di fronte a cui lo pone la Capitale.   Sotto una buona stella è un titolo-parafrasi indovinato in quanto rivelatore di insospettate qualità drammatiche che l’ex maschera ilare del gallinaccio coatto, come della congrega “I figli dell’amore eterno” o di tante altre indimenticabili figurine, ben di rado aveva dimostrato. In molte occasioni Verdone affronta temi sociali e spunti delicati

La “quarta parete”: DIONISIO NEL ’69

Immagine
La “quarta parete”: Dionisio nel ’69  Richard Schechner è autorevole firma di allestimenti underground che operano sul duplice asse esterno-interno e sulla multiformità dello spazio, contando sulla reazione di un pubblico mai neutro. In Dionisio nel ’69 , frutto di un’epoca in cui la controcultura destabilizza l’immaginario, Dionisio si fa detonatore interpretativo in linea con lo spirito del tempo: crea contrasti, spezza legami sessuali, s’insinua in quelli affettivi. Credendo poco al naturalismo nel cinema, Brian De Palma filma la performance con quattro cineprese dopo averla vista, su invito dell’amico William Finley, a ridosso di Hi, Mom! (che annovera un’eco dell’esperienza nel segmento Be Black, Baby ). Se l’esito è figlio dei tempi, non esente da vezzi godardiani, l’incontro con Schechner si sposa a un equo senso di sbigottimento nel concetto di “quarta parete”: l’uso dello split screen rivela complicità enunciative e retoriche, in linea con un body double attoriale

Quello che le donne non si dicono: QUALCOSA DI NUOVO

Immagine
Quello che le donne non si dicono: Qualcosa di nuovo  Quando Paola Cortellesi, cantante jazz sulla quarantina, intona Donna di nessuno d i Buscaglione sui titoli di testa – prima di bacchettare da rigida moralista l’amica e coetanea Micaela Ramazzotti – sorge naturale e lecita una constatazione: curioso che nell’ultimo lustro la produzione cinematografica nostrana abbia sfornato, tra alti e bassi, una serie di quadretti femminili volti a tratteggiare la donna in una condizione di orgogliosa rivalsa esistenziale o di doveroso altruismo, fattori in ambo i casi necessari a proclamarne l’emancipazione. Ritagli che individuano un comune punto di forza nell’impiego costante dei medesimi volti (Margherita Buy, Sabrina Ferilli, Valeria Golino, Laura Morante, la stessa Ramazzotti, e via elencando). È così che dalla faticosa quotidianità di Per amor vostro o dal rapporto saffico di Io e lei , passando per il desiderio d’indipendenza di Assolo o dalla maternità forzata di Nemiche per l

La parola alle dipendenti: 7 MINUTI

Immagine
La parola alle dipendenti: 7 minuti  I 7 minuti indic ati dal titolo sono il tempo detratto dalla pausa lavoro di un gruppo composto da undici operaie, chiamate a decidere se accettare la proposta di una nuova proprietà, francese, dell’azienda tessile di provincia in cui prestano servizio, alcune di loro da molti anni. È, questo, un riassunto sufficiente alla tredicesima fatica registica di Michele Placido per ostentare, nella confezione kammerspiel , un intento di denuncia in veste di apologo al femminile, sostenuto da undici diverse tipologie. Il risultato va a sommarsi al recente campionario di film dedicato alla donna dal cinema italiano, sullo sfondo di un Paese i cui contrasti paiono non conciliarsi più. Si aggiunga che il canovaccio, come già per Qualcosa di nuovo di Cristina Comencini, reca una derivazione teatrale in cui l’occasione di dibattito funge da innesco per un variegato confronto caratteriale. E subito vien da dire che la pensata del teatro filmato – ispirata

Contro il logorio del Paddington moderno: TED 2

Immagine
Contro il logorio del Paddington moderno: Ted 2  Parafrasando una battuta del film, non siamo analfabeti in materia di cultura pop da non saper valutare la seconda puntata con lo sboccato orsacchiotto protagonista. E se squadra che vince non si cambia (stessa troupe , stesso regista, stesso cast), a chi è cresciuto nel ricordo delle produzioni disneyane, e talora della volontà di queste ultime di prendere e prendersi in giro, non può non tornare in mente la sitcom E vissero infelici per sempre : dietro la superficie dell’ American Way of Life tutta zucchero e ottimismo, si ostentava spudorata la voglia di parodiare il politically correct di operazioni simili. Ad un siffatto, disfunzionale alveo domestico, si aggiungeva un pupazzo di pezza nelle sembianze di coniglio, Mr. Floppy, con il quale solo il padre di famiglia, schizofrenico, riusciva a conversare scambiando opinioni sui più disparati argomenti, cui Mr. Floppy sovente ribatteva con feroci critiche.  È con quest